Onorevoli Colleghi! - L'attenzione delle istituzioni verso la famiglia è considerevolmente cresciuta; in particolare verso le trasformazioni sociali e culturali che negli ultimi decenni l'hanno attraversata.
      Dopo un lungo percorso che parte dagli anni '70, quando gli interventi normativi erano finalizzati a garantire alle donne la parità di trattamento e pari opportunità di accesso nell'ambito professionale, si è arrivati negli anni '90 all'affermazione - in chiave normativa - del principio della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
      Sono pervase da tali finalità la legge n. 335 del 1995 che riforma il sistema previdenziale, nella quale si riconosce per la prima volta (articolo 1, comma 40) l'importanza del lavoro di cura; e ancora, il decreto legislativo n. 61 del 2000 sul part-time, che offre l'opportunità a uomini e donne di scegliere i tempi da destinare alla propria vita e quelli da destinare al lavoro. Questo tipo di rapporto di lavoro, oltre a rispondere alle esigenze dei singoli, incontra i bisogni di flessibilità del mercato del lavoro avvertiti anche dalle imprese.
      Coerentemente con questa impostazione, la legge di riforma del mercato del lavoro (cosiddetta «legge Biagi», legge n. 30 del 2003) ha - finalmente - regolato le nuove tipologie contrattuali che, pur puntando sulla flessibilità, rischiavano di restare vittime di un'interpretazione viziata dall'ideologia sindacalista e, dunque, di essere ingessate quanto le tipologie contrattuali standard.
      Notevoli passi avanti sono stati fatti, altresì, con l'approvazione della legge 8 marzo 2000, n. 53: le disposizioni introdotte sono volte, come anche indicato nel

 

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titolo, al sostegno della maternità e della paternità e pongono lo strumento del congedo parentale al servizio della promozione del lavoro di cura materno e paterno.
      Gli elementi di novità introdotti nella materia (che era già disciplinata con la legge n. 903 del 1977) sono molteplici e vanno tutti nella direzione di tutelare il più possibile il diritto del bambino di avere accanto, nei primi anni di vita, almeno uno dei due genitori (o l'uno e l'altro, alternativamente) favorendo l'alternanza nella cura e la compresenza nel nucleo familiare.
      Tutto ciò viene rafforzato e strutturato nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, dove, con il preciso scopo di «tutelare il bambino», si richiamano i genitori alla cura dei figli e si garantisce loro la possibilità di attuarla.
      In quest'ottica è ovvio che nel caso in cui il bambino sia malato le tutele vengano ampliate; in particolare, i genitori di figli portatori di handicap gravi usufruiscono, ai sensi dell'articolo 42, comma 5, del citato testo unico, di particolari agevolazioni.
      Con la presente proposta di legge si mira ad estendere le stesse agevolazioni anche ai familiari dei minori con gravi problemi di salute derivanti da accertate e documentate patologie acute o croniche che determinano temporanea o permanente riduzione o perdita dell'autonomia personale ovvero che richiedono assistenza continuativa o frequenti monitoraggi clinici, ematochimici e strumentali ovvero patologie che richiedono la partecipazione attiva del familiare nel trattamento sanitario.
      Potere accedere a questi benefìci è per questi genitori e, soprattutto, per questi bambini un atto dovuto: per troppo tempo, infatti, essi sono stati ignorati dalla legislazione vigente - sebbene nel 2000 il regolamento di cui al decreto del Ministro per la solidarietà sociale 21 luglio 2000, n. 278, avesse incluso tali patologie tra quelle per le quali i genitori potevano richiedere un periodo di congedo per gravi e documentati motivi familiari ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53 - ed è ora, pertanto, che nei loro confronti sia ripristinata una situazione di equità e sia data una soluzione giusta ai problemi che queste persone devono affrontare quotidianamente.
 

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